La casa ischitana ha sempre rispettato alcuni canoni stilistici ben precisi: coperture a volta; archi di sostegno; scale interne; portali di ingresso in piperno o tufo verde. Soprattutto, il criterio prevalente è sempre stato quello di aggregare i vari ambienti attorno uno spazio libero: il cortile all’ingresso; l’atrio seguito da un androne; un semplice pianerottolo.
Oppure lo slargo davanti le case basse dei pescatori disposte “a schiera” faccia al mare. Nelle case coloniche, invece, lo spazio esterno era l’appezzamento di terreno coltivato dai mezzadri. Architettonicamente, queste ultime somigliavano alle dimore signorili di Ischia Ponte, della Sentinella (Casamicciola) e del centro storico di Forio, con la sola, significativa eccezione del pianterreno destinato ad alloggiare gli attrezzi agricoli, il palmento e tutto il necessario per la vendemmia.
Sbaglieremmo perciò a considerare gli agglomerati urbani di Sant’Angelo e Ischia Ponte come i soli esempi dell’architettura mediterranea sull’isola d’Ischia. Testaccio, la Mandra, i borghi contadini di Campagnano, Noia, Calimera, il borgo di Sant’Alessandro sono testimonianze altrettanto importanti di un antico modo di costruire che è stato quasi del tutto soppiantato dallo sviluppo urbanistico successivo cominciato col turismo negli anni ‘50 del secolo scorso.
Storicamente, l’arco temporale dal XVI al XIX secolo è stato il periodo di maggiore innovazione architettonica ed edilizia sull’isola d’Ischia. I contributi più interessanti risentono dell’influenza delle scorribande saracene (assai frequenti nella prima metà del ‘500), e del terremoto di Casamicciola del 1883.
Sarà anche vero, infatti, che il caratteristico dedalo di viuzze del centro storico di Forio nasceva dalla necessità di guadagnare tempo e metri sui pirati turchi, ma è innegabile che in molte città della Turchia, della Grecia, dell’Africa sub-sahariana queste soluzioni urbanistiche ritornano in maniera straordinariamente simile: mura alte, vicoli ciechi, superfetazioni e cortili interni tutti diversi l’uno dall’altro. È perciò plausibile che ai foriani, oltre a difendersi dagli invasori, toccasse pure proteggersi dal sole e dal vento. Un’esigenza condivisa da tutti i popoli del Mediterraneo meridionale e da cui sono evidentemente scaturite soluzioni architettoniche e urbanistiche comuni.
Il devastante terremoto di Casamicciola sancì invece l’abbandono dei tradizionali materiali di costruzione. A seguito del piano di edilizia popolare voluto dal governo Depretis si cominciò a utilizzare il ferro per la realizzazione dei solai e delle fondamenta, accantonando – anche se in verità la consuetudine è andata avanti fino agli anni ‘50 del secolo scorso -, la tecnica locale della battitura del lastrico di copertura. Per realizzare i mitici tetti “‘a carusella” occorrevano non solo manovali-battitori, ma anche mastri lastricatori cui spettava il fondamentale compito di arrotondare la superficie del tetto. Soprattutto, c’era bisogno di musicanti con tamburo e clarinetto per cadenzare le operazioni di battitura e lenire, almeno un po’, la fatica delle operazioni.
E qui veniamo al punto più importante: la ragione per cui l’isola d’Ischia ha sviluppato nei secoli tecniche di costruzione indigene risiede nella grande disponibilità di materiali di origine vulcanica da impiegare in edilizia. Terreni argillosi, lapilli, pietre da taglio, senza la cui disponibilità difficilmente si sarebbero realizzati insediamenti abitativi in zone poco accessibili come Santa Maria al Monte, a Forio e Piano Liguori, a Ischia.
Dell’antico modo di costruire restano, sull’isola d’Ischia, innumerevoli tracce. Passi per gli splendidi esempi dell’architettura mediterranea che sono i borghi marinari di Ischia Ponte e Sant’Angelo, la vera cifra del territorio sono i suoi insediamenti rurali. È nelle case di pietra della Falanga, del Ciglio, dello Schiappone che va scovato il “genius loci” dell’isola più grande e bella del Golfo di Napoli.
Non vi resta che venire, Ischia Vi aspetta!!!