“Nel Mediterraneo devono esserci delle correnti marine che incessantemente si spingono verso le coste della Campania“.
Così lo scrittore inglese Norman Douglas (1868 – 1952) a proposito del suo viaggio a Ischia, nel 1931, in compagnia del libraio ravennate Giuseppe Orioli. Entrambi dovettero tenere un diario molto accurato di quella piacevole vacanza da cui poi attinsero per i rispettivi “Avventure di un libraio” (Orioli) e “Summer Islands” (Douglas). Ma, mentre Orioli nel suo “Giro indipendente dell’isola d’Ischia” indugia più volentieri sulla straordinarietà del paesaggio, Douglas nel capitolo “Ischia: isola di Tifeo” preferisce invece rivolgere lo sguardo alle persone più che ai luoghi. O meglio, l’osservazione attenta degli ischitani e dei forestieri incontrati durante la sua permanenza diventa l’occasione per allargare il racconto alle caratteristiche ambientali dell’isola.
Quasi sempre con esiti assai divertenti: “Un mattino raggiunsi quell’incantevole e soleggiata spiaggia, con la mente ancora offuscata dall’immagine del vicino santuario. Una visione soprannaturale mi raggelò il sangue nelle vene, a pochi passi dalla riva giaceva una testa umana il cui volto era irriconoscibile poichè era visibile solo la nuca, parzialmente celata da un panno bianco che sembrava un asciugamano. […] Mi avvicinai tremante deciso a togliere il panno che nascondeva quella testa. Appena mi apprestai a compiere quell’innocente gesto, fui interrotto dal mio proposito, poichè da quella testa vennero fuori degli insulti in un approssimativo linguaggio napoletano, frammisti ad un perfetto idioma inglese, che niente potrebbe indurmi a riportare.”
Più avanti, il consiglio di un viaggiatore conosciuto anni prima diventa il pretesto per magnficare il vino di Ischia, “giacchè il vino è l’acqua di Ischia, e come vino da pasto non se ne trova migliore da Roma in giù“, e allora, seguendo il suggerimento del signor Mynheer: “Sorseggia il vino ischitano, di qualsiasi grado e latitudine esso sia: dai dorati torrenti delle mille botti di Forio al pallido ichor color primula, bevanda divina che fluisce lentamente dalle uve nane di montagna. Prova anche quello rosso, gustali tutti e non smettere mai di berli. Questo è quello che mi consigliò un cittadino fiammingo incontrato a Casamicciola anni fa“.
Il mare, le terme, il vino e… le differenze con Capri, l’isola in cui Douglas trascorse gran parte della sua esistenza e dove morì nel 1952. Anche in questo caso, nella narrazione le diversità sociali precedono quelle naturali: “Gli ischitani, in un certo senso, fanno parte di una razza mista – osserva Douglas – sono privi dell’omogeneità sanguigna della gente vesuviana. Ma hanno tuttavia una propria e specifica personalità, si distinguono dai capresi che hanno perso ogni stile ed impronta. […] Lo scenario costiero di Ischia non è grandioso come quello di Capri ma possiede un proprio e inconfondibile fascino: le sue tonalità sono più delicate e variegate, e l’isola si avvantaggia di ambienti naturali più selvaggi.”
Douglas termina il racconto rammaricandosi del poco valore che gli ischitani attribuivano all’enorme patrimonio archeologico che venti anni dopo Giorgio Buchner avrebbe portato alla luce con i suoi scavi. Ciò nonostante – scrive Douglas in riferimento al ritrovamento di un’anfora venduta in gran fretta a un forestiero – “non occorre essere intelligenti e particolarmente colti per riconoscere, sotto i guasti causati dal tempo la bellezza dello stile antico“.
Un monito ancora attuale che può essere trasferito anche al paragone tra l’Ischia pre-turistica e quella odierna. Infatti, nonostante molte cose siano cambiate rispetto all’epoca in cui ne scrisse Douglas, Ischia resta un’isola stupenda e, soprattutto, le correnti marine continuano incessantemente a spingere verso le sue coste.
Vi aspettiamo!!!