Da poco è uscito in libreria Ischia, il secondo noir di Gianni Mura (edito da Feltrinelli). L’ispettore Magritte, già protagonista del precedente Giallo su giallo, stavolta è a Ischia in compagnia del giudice Michelle Lapierre, con la quale intreccia proprio durante il soggiorno sull’isola un’affettuosa relazione amorosa. Come conviene al genere la trama è agile e ricca di colpi di scena, con un finale addirittura catartico che ha per protagonista “Peppe o’ frances”, personaggio centrale nel romanzo, a cui lo scrittore affida il compito di mostrare al poliziotto parigino in vacanza tutti i lati nascosti, ma non meno fascinosi, di quest’isola al centro del Mediterraneo.
Del resto, il felice connubio Ischia-letteratura ha origini antiche. Ne hanno tessuto per primi le lodi gli storici di epoca classica Strabone e Tito Livio. Nel Medioevo è stata la volta di Boccaccio e in epoca rinascimentale quella di Ludovico Ariosto. Senza dimenticare nel ‘700 il vescovo e filosofo irlandese George Berkeley e agli inizi del ‘900 le sorelle di origine americana Augustine e Sybil Fitzgerald. Fino ai bellissimi e più recenti report di Truman Capote e Pierpaolo Pasolini.
Scrive Capote nel 1949: “Le isole sono come navi perennemente all’ancora. Sbarcarvi è come percorrere una passerella: si è presi dalla stessa sensazione di trovarsi magicamente sospesi: diresti che nulla di volgare o scortese può succederti; e allorché la Principessa entrò nella caletta di Porto d’Ischia, alla vista dei tenui, scorticati colori pastello delle case intorno, il paesaggio ti parve tanto intimo e soddisfacente quanto il battito del tuo stesso cuore. Nella fretta inciampai e caddi: mi si ruppe l’orologio. Ciò aveva qualcosa di simbolico, fin troppo evidente: di primo acchitto, era chiaro che Ischia non era un posto per la fretta e la furia delle ore”.
Lo scrittore di Ragazzi di vita, Una vita violenta, Scritti Corsari, giunse invece a Ischia nel 1959. Tappa di un reportage in giro per la penisola (“La lunga strada di sabbia“) commissionatogli dalla rivista Il Successo, Pasolini fu subito entusiasta del suo soggiorno sull’isola, tanto da annotarlo negli appunti immediatamente successivi all’arrivo in albergo:
“Sono felice. Era tanto che non potevo dirlo: e cos’è che mi dà questo intimo, preciso senso di gioia, di leggerezza? Niente. O quasi. Un silenzio meraviglioso è intorno a me: la camera del mio albergo, in cui mi trovo da cinque minuti, dà su un grosso monte, verde verde, qualche casa modesta, normale. […] Il senso di pace, di avventura che mi dà l’essere in questo albergo nell’interno di Ischia, è una di quelle cose che ormai la vita dà così raramente. È un posto dove mi pare di essere sempre stato. Mi sembra il Friuli, la Carnia, l’Emilia. Solo ogni tanto qualche voce vicina mi ricorda che sono nel Sud. Mi aspetta qualcosa di stupendo: quello che si aspetta quando si è ragazzi, il primo giorno di villeggiatura, e si ha davanti un’estate eterna”.
In assoluto però le parole più belle, memorabili, che danno l’idea di cosa significhi visitare Ischia, sono le ultime righe della quartina che chiude la poesia di commiato a Ischia del grande poeta W.H.Auden, dal titolo “Good bye to the Mezzogiorno” [Addio al Mezzogiorno]:
“though one cannot always remember exactly why one has been happy, there is no forgetting that one was” [sebbene non sempre si possa ricordare esattamente perché si è stati felici, non ci si dimentica d’esserlo stati”].
Niente meglio di queste parole chiarisce l’emozione e lo stupore delle tante cose da fare ad Ischia: qualcosa che rimane dentro, scavando nel profondo, anche a distanza di anni e che, immancabilmente obbliga al ritorno.