Sono tanti gli artisti italiani e stranieri che hanno visitato l’isola d’Ischia, specie negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso quando la fama turistica dell’isola esplose incrociando gli anni felici dell’Italia del boom e delle vacanze borghesi. In quegli anni, però, accanto i confortanti segnali di ripresa economica sopravvivevano numerose tracce delle difficoltà del dopoguerra, e più in generale del retaggio rurale che accomuna l’Italia tutta, da nord a sud.
Residui, segni che sull’isola d’Ischia si sono protratti più a lungo, in un difficile equilibrio tra cambiamento e tradizione superato definitivamente negli anni ’70 a favore della modernità del turismo. Con esiti – bisogna riconoscere – non sempre soddisfacenti.
L’analisi di questa transizione è sempre stata al centro dell’opera di Pier Paolo Pasolini che alla fine degli anni ’50 girò la penisola in lungo e in largo per cogliere le contraddizioni feconde di una nazione al bivio. L’amarezza per la definitiva scomparsa di quell’Italia contadina che “si batteva per abbattere il padrone senza diventare il padrone” maturerà più tardi, negli anni degli “Scritti corsari” e della celebre polemica con Italo Calvino.
Nel reportage del 1959 “La lunga strada di sabbia”, firmato per la rivista Successo, non c’è ancora posto per il rimpianto. Durante il viaggio, a bordo di una Fiat Millecento, lo scrittore friulano fece tappa anche a Ischia, soggiornando nel prestigioso Albergo Savoia di Casamicciola Terme. Di quel breve soggiorno del luglio 1959 sono saltate fuori, nel 2005, due pagine scritte a mano dallo stesso Pasolini su carta intestata dell’albergo.
Manoscritti dove Pasolini appunta le prime impressioni, con frasi che sconfinano sovente nella poesia: “Sono felice. Era tanto che non potevo dirlo: e cos’è che mi dà questo intimo, preciso senso di gioia, di leggerezza? Niente. O quasi. Un silenzio meraviglioso è intorno a me: la camera del mio albergo, in cui mi trovo da cinque minuti, dà su un grosso monte, verde verde, qualche casa modesta, normale. Piove. Il rumore della pioggia si mescola con delle voci lontane, fitte, incalcolabili. La terrazzetta, davanti, è lucida di pioggia, e soffia un’aria fresca“.
E ancora: “Il senso di pace, di avventura che mi dà l’essere in questo albergo nell’interno di Ischia, è una di quelle cose che ormai la vita dà così raramente. È un posto dove mi pare di essere sempre stato. Mi sembra il Friuli, la Carnia, l’Emilia. Solo ogni tanto qualche voce vicina mi ricorda che sono nel Sud. Mi aspetta qualcosa di stupendo: quello che si aspetta quando si è ragazzi, il primo giorno di villeggiatura, e si ha davanti un’estate eterna“.
Nient’altro che piccole annotazioni dunque, e però capaci di evocare quel fascino esotico del sud Italia e del Mediterraneo che influenzò così tanti artisti. Anche a Ischia, come chiarito in apertura. In particolare a Forio che, proprio negli anni in cui scrive Pasolini, fu al centro di un mini-esodo culturale e artistico che vide protagonisti, tra gli altri, i grandi Auden e Capote.
Lo stesso Pasolini, dopo quell’esperienza tornò a Ischia nei primi anni ’70. Stavolta in compagnia di un giovane Ninetto Davoli, legato allo scrittore e regista friulano da un lungo sodalizio cinematografico interrotto solo dalla tragica morte di Pasolini nel 1975. Si racconta, a proposito di questo secondo soggiorno, di una lunga e piacevole serata trascorsa in compagnia di Don Eduard Bargheer ai tavoli del celebre Bar Maria di Forio.
Una curiosità. A custodire il dattiloscritto originale de “La Lunga striscia di sabbia”, compresi i due fogli con l’intestazione dell’Albergo Savoia una cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi. La donna ha ceduto quest’importante materiale al giornalista e fotografo francese Philippe Séclier che, a distanza di quasi 40 anni, ha ripercorso il viaggio di Pasolini tirandone fuori un interessante reportage fotografico accompagnato dall’originale testo pasoliniano (La longue route de sable, La lunga strada di sabbia, Edizioni Contrasto, Roma 2005).
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