Chi è interessato ad approfondire le caratteristiche sociali, culturali e ambientali che definiscono l’identità millenaria dell’isola d’Ischia, non è a Ischia Porto che deve andare, e nemmeno a Ischia Ponte o Sant’Angelo. Al contrario, deve raggiungere la parte alta dell’isola, “mer ‘e copp” in dialetto, e poi andare alla ricerca degli antichissimi borghi contadini di Calimera e Noia, rispettivamente nelle frazioni di Serrara e Fontana.
Del resto, che il “genius loci” di Ischia non si trovasse lungo la costa, se ne era già accorto, quasi 150 anni fa, il linguista tedesco Kaden Woldemar che descrisse con queste parole il dialetto delle contadine di Serrara Fontana:
“Sarà difficile, però, intrattenersi con loro anche per chi ha imparato l’italiano con un maestro fiorentino, con le migliori grammatiche e con metodi efficaci, perché tutte parlano nel dialetto più oscuro, mescolato con una gran quantità di lemmi antichi, greci, latini, spagnoli e di altri sostrati linguistici. […] Si capiscono più facilmente i dialetti di Lacco Ameno, di Casamicciola o di Ischia, cioè le località sul lato settentrionale, aperto, frequentato, dell’isola. Sul lato meridionale e nelle località di contadini situate in alto anche l’italiano dell’Italia centrale si sente perduto, qui viene offerto un lessico ignoto.”
(Kaden Woldemar, L’Isola d’Ischia nei suoi aspetti naturali, topografici e storici del passato e del presente, 1883)
E, restando in tema di lemmi antichi, è il caso di soffermarsi proprio sui toponimi di Calimera e Noia, entranbi di chiara derivazione greca. Il primo, da “Καλημερα” che significa “buon giorno”, o forse “bella contrada” da “καλλη μερεα“. Noia invece da “ανωγεων” (“a no gheon”) che sta per “parte alta”. Proprio come “mer’ e copp” in questo caso da “μέρος” che sta per “luogo”, “parte”, “posizione”, mentre “copp(a)” è espressione napoletana che sta per “sopra” (per inciso, anche questa probabilmente di derivazione greca).
Naturalmente, la “memoria storica” di un luogo non passa solo per il linguaggio, ma anche per le tracce architettoniche rivelatrici del modo in cui l’uomo ha saputo, nei secoli, adattarsi all’ambiente sfruttando le risorse naturali disponibili. In questo caso, scavando le pareti detritiche delle cave per realizzare i cellai, l’ambiente più importante della casa rurale ischitana, il vano dove veniva spremuta l’uva raccolta durante la vendemmia, dove venivano alloggiate le botti e dove si custodivano gli attrezzi agricoli. In altri casi, e pure ce n’è traccia nei due borghi, i cellai venivano realizzati scavando i mega blocchi di tufo presenti lungo il versante occidentale del Monte Epomeo. Altrimenti – è il caso del versante orientale di Ischia – sono stati realizzati in muratura, incorporati al pian terreno nelle abitazioni, o collegati alla casa mediante una scala esterna.
Insomma, la “doppia anima” di Ischia di cui spesso si sente parlare, non è uno slogan ma la vera “cifra” della più grande delle isole del Golfo di Napoli. Per conoscerne l'”anima di terra” bisogna dirigersi a sud, che poi è la parte alta dell’isola, alla scoperta dei borghi di Calimera e Noia, nel comune di Serrara Fontana. Ne vale assolutamente la pena.
Magia dell’isola d’Ischia!!!