Ischia è pietrosa, un’isola aspra che ricorda la Grecia o la costa dell’Africa. Così Truman Capote durante il suo soggiorno ischitano nella primavera del 1949. L’autore di “Colazione da Tiffany” e  “A sangue freddo” si riferiva al sentiero che dal Vatoliere, frazione del comune di Barano, porta alla baia rocciosa della Scarrupata, una delle insenature più belle dell’isola d’Ischia; sicuramente più comoda da raggiungere via mare.

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Dello stesso avviso, 60 anni dopo, Gianni Mura, firma prestigiosa de “La Repubblica” e giallista di successo; autore, tra l’altro, di un romanzo intitolato “Ischia”. Scrive Mura nella prefazione al “Principe di Cavascura” di Giovanni Angelo Conte: “Più ci si allontana dal mare più sembra di essere in Cappadocia. Guglie, pinnacoli disegnati dal vento, pareti a picco piene di nidi degli uccelli. Ugualmente a picco, con pendenze da vertigine (o da paura) la stradina sterrata che porta su, a Serrara Fontana“. Il famoso giornalista sportivo, a detta di molti erede di Gianni Brera, descrive in questi termini la passeggiata di Via Iesca che dal bacino idrotermale di Cavascura risale, appunto, fino al belvedere di Serrara. E a giudicare dall’immagine vien difficile dargli torto.

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Del resto, prima ancora di Truman Capote e Gianni Mura, un altro scrittore, l’inglese Norman Douglas, negli anni ’30 del secolo scorso aveva rilevato che le “orride” fenditure dell’isola d’Ischia nel Medioevo erano stati dei ripari sicuri per gli abitanti in fuga; aggiungendo – subito dopo – che continuavano a esserlo per chi aveva problemi con la giustizia. Chissà a quali grotte si riferiva Norman Douglas: se agli anfratti del sentiero dei Pizzi Bianchi;

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oppure, alle case di pietra della Falanga, definite dal compagno d’avventura di Douglas, l’antiquario e libraio Giuseppe Orioli, “enormi blocchi di tufo pallido che fanno pensare a una necropoli di giganti“.

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Quel che è certo, gli ischitani si rifugiavano nella parte alta dell’isola per sfuggire alle scorribande saracene; ma, in più di un caso, anche (per sfuggire) alla giustizia. Prova ne sia la vicenda di Giuseppe D’Arghout (1704-1778), il comandante della guarnigione militare “di stanza” sul Castello Aragonese, che scelse di diventare eremita dopo essere miracolosamente sopravvissuto a un agguato teso da due banditi in fuga. In fuga, appunto, sul Monte Epomeo, poco distante da quell’eremo di San Nicola (vd. copertina) dove D’Arghout, insieme ad altri, trascorse il resto dei suoi giorni. Ma di rocce, a Ischia, è disseminato anche il mare. A parte le enormi rocce trachitiche del Castello Aragonese e di Sant’Angelo, occorre ricordare tra le tante:

gli “Scogli di Sant’Anna” a Cartaromana;
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il mitico “Fungo” di Lacco Ameno;
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gli “Scogli Innamorati” di Forio.
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Insomma, i paesaggi rocciosi di Ischia rappresentano a tutti gli effetti una mappa alternativa dell’isola. Una traccia da seguire se non vi basta visitare un luogo, ma desiderate conoscerlo in profondità. O, come si dice, “pietra per pietra“.

Ischia Vi aspetta!